La comunità albanese (arbëreshë) calabrese è la più numerosa tra quelle emigrate in Italia tra il XV ed il XVIII secolo. Le prime due emigrazioni furono di carattere militare, essendo stati gli Albanesi chiamati in aiuto dagli Aragonesi in lotta con gli Angioini. L’esodo più consistente si verificò dopo l’invasione dell’Albania da parte degli Ottomani e soprattutto dopo la morte dell’eroe nazionale albanese Giorgio Kastriota, detto Skanderbeg (17 gennaio 1468), che era riuscito a fronteggiare le invasioni turche. Allora molte ricche famiglie albanesi, per sfuggire al giogo musulmano e conservare la libertà e la fede cristiana, si trasferirono nel Regno di Napoli, prediligendo paesi interni, lontani dalla malaria e dalle incursioni barbariche della costa.
La lingua parlata dagli arbëreshë di Calabria è una varietà dell’antico tosco (arbërisht), un dialetto del sud dell’Albania (regione da cui ha avuto origine la diaspora), misto a antichi vocaboli calabresi. L’arbëreshë è tuttora parlato a Acquaformosa (CS); Andali (CZ); Caraffa di Catanzaro (CZ); Carfizzi (KR); Cantinella (CS) (Fraz. di Corigliano Calabro); Civita (CS); Castroregio (CS); Cerzeto (CS); Falconara Albanese (CS); Firmo (CS); Frascineto (CS); Lungro (CS); Marcedusa (CZ); Pallagorio (KR); Plataci (CS); San Basile (CS); San Benedetto Ullano (CS); Santa Caterina Albanese (CS); San Cosmo Albanese (CS); San Demetrio Corone (CS); San Giorgio Albanese (CS); San Martino di Finita (CS); San Nicola dell’Alto (KR); Santa Sofia d’Epiro (CS); Spezzano Albanese (CS); Vaccarizzo Albanese (CS); Vena (CZ) (Fraz. di Maida). Mentre a Cervicati (CS); Mongrassano (CS); Rota Greca (CS); San Lorenzo del Vallo (CS); Gizzeria (CZ); Amato (CZ); Arietta (CZ) (Fraz. di Petronà); Zagarise (CZ); Zangarona (CZ) (Fraz. di Lamezia Terme) l’uso della lingua albanese si è perso, per varie ragioni, ma si conserva comunque una marcata identità storica e culturale arbëreshë. Infine Cosenza, come molte altre città italiane, ospita un’importante comunità albanese.
L’area albanofona, assieme a quella ellenofona e occitana, è una delle tre minoranze storico linguistiche calabresi tutelate. Il gruppo etnolinguistico albanese costituisce una vera e propria ‘isola’ (la cosiddetta Arbëria), che ha gelosamente tramandato nei secoli (perlopiù oralmente) il patrimonio linguistico, culturale e religioso della terra natia. In particolare, la Chiesa cattolica italo-albanese di rito orientale, che è stata cardine e custode dell’identificazione etnica di questa comunità, conserva struttura, disciplina, liturgia e tradizioni proprie del rito bizantino (come praticato dalla Chiesa Ortodossa), ma riconosce come capo il Papa di Roma; la splendida Cattedrale di San Nicola di Mira (Lungro) è sede dell’Eparchia di Lungro, la ‘diocesi’ che riunisce gli oltre 30 mila cattolici italo-albanesi di rito bizantino sparsi nella penisola italiana (mentre l’eparchia di Piana degli Albanesi è sede solo per la Sicilia). Un forte spirito di identità etnica riecheggia anche nei motivi dei canti popolari e religiosi (ispirati alle gesta di Scandenberg, la tragedia della diaspora, la nostalgia per la patria perduta) e nelle danze, come la famosa vallja, un ballo circolare dove gruppi di donne e uomini, riccamente abbigliati (grazie alla leggendaria abilità tessile albanese), sono collegati tra loro da fazzoletti.
Persino la cucina arbëreshë è fortemente identitaria. Tra i piatti tipici ricordiamo le dromësat (grumi di farina cotti nel sugo di pomodoro), le shëtridhlat (lunghi gomitoli di pasta sottilissima, realizzati da abili donne in gruppo e solitamente conditi con legumi o verdure), i tagliolini cotti nel latte e spolverati di pecorino (pietanza tipica dell’Ascensione, quando pure i pastori fanno festa e il latte non viene lavorato, ma regalato ai compaesani), il capretto all’harroje (cucinato per ore in acqua e spezie). Tra i dolci tradizionali, la giuggiulena, i kanarikuj (gnocchi con il miele), i crustoli, i cullurielli, le maiatka (specie di crêpes, anche nella versione salata) le kasolle megijze (involtini di ricotta), la pitta (focaccia) ripiena di frutta secca, uvetta e miele.