Papasidero (Cosenza) è un antico borgo collinare nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, compreso nella Riserva Naturale della Valle del Lao e nella Riviera dei Cedri.
Questo territorio è abitato da almeno 20.000 anni, eppure Papasidero nacque da una rocca longobarda, divenuta castello in epoca normanno–sveva (1190-1250) e poi ampliata da Angioini (1300) e Aragonesi (1400). Nel 1500 il borgo diventò università feudale e passò dai Sanseverino (1354) agli Accursio Pappacoda di Napoli (1414), agli Alitto (XVI), agli Spinelli di Scalea (1724), fino all’eversione della feudalità nel Regno (1806). Nell’Alto Medioevo fu uno dei principali centri del Mercurion. L’area del Pollino culla del monachesimo greco-ortodosso, popolata da decine di monaci basiliani (arrivati nel Sud d’Italia dall’Oriente, per sfuggire all’islamizzazione di Palestina, Siria, Egitto (VII sec.) e alla persecuzione iconoclasta scoppiata nell’Impero Romano d’Oriente dell’VIII secolo). Di cui la vicina Orsomarso fu il cuore. Gli studiosi, infatti, fanno derivare Il nome Papasidero dal greco Papàs Isidoros (prete Isidoro), che potrebbe essere stato un esponente della comunità basiliana locale. Oppure da Scidro, ritenendo che questa città della Magna Grecia, ormai localizzata a Buonvicino, sia, invece, sorta qui.
Papasidero è famosa nel mondo per la Grotta del Romito (la più celebre delle centinaia di grotte calabresi), dichiarata Patrimonio dell’UNESCO. Uno dei principali siti archeologici europei del Paleolitico superiore, dominato dal maestoso graffito del Bos Primigenius (10.800 a.C.), un’incisione rupestre di 1,20 m che raffigura un bovide selvatico (attraversato da un tratto lineare in corrispondenza dei reni), di proporzioni perfette, eseguito con mano sicura e attenta ad alcuni particolari (narici, bocca, occhio, orecchio, piedi). Sullo stesso masso sono incisi la testa, il petto e parte della schiena di un altro Bos Primigenius e la testa di una terza figura di bovide. Su un altro masso compare un grafema molto diffuso nel Paleolitico europeo, ovvero dei tratti lineari graffiati in tutte le direzioni. Gli scavi del sito (che si succedono dal 1961) hanno portato, tra l’altro, alla luce tre insolite sepolture duplici. e numerosi reperti litici e ossei, esposti nell’Antiquarium della Grotta del Romito, presente all’interno del Parco Archeologico.
Il caratteristico centro storico di Papasidero è dominato dai ruderi del Castello, con una torre sola, probabilmente in contatto con la poderosa cinta muraria cittadina, ancora visibile, insieme alla torretta del Cambio della Guardia. Tanti i luoghi di culto degni di nota. Come la Chiesa madre di San Costantino (XV-XVIII sec.). La Chiesa di San Rocco, Compatrono cittadino. La Chiesa di San Francesco di Paola (XIX sec.). La Cappella della Madonna del Carmine (XVII-XVIII sec.). La Cappella di S. Anna (XVII sec.). La Chiesa della SS. Trinità (XVI sec.), situata nell’antichissima frazione (ora disabitata) di Avena. Il Santuario della Madonna di Costantinopoli (Patrona del paese), eretto su una chiesa medievale utilizzata come lazzaretto durante la peste del Seicento. La Cappella di Santa Sofia, edificata (XI-XIII sec.) dai monaci basiliani. Inoltre Papasidero vanta una posizione privilegiata sul fiume Lao (da Laos, l’importante polis magnogreca sorta nell’odierna Marcellina, frazione di Santa Maria del Cedro), che, tra gole spettacolari e boschi lussureggianti (noci, noccioli, castagni e ciliegi selvatici, lecci, salici, aceri, carpini, faggi e frassini), attraversa tutta la selvaggia bellezza della Riserva Naturale Valle del Lao. Perciò Papasidero è diventata un punto di riferimento (anche internazionale) per il rafting, il canyoning, il free climbing, i tour in quad. Oltre che per il trekking e il nordic walking, che qui possono contare sugli affascinanti percorsi basiliani. Come il Sentiero del Monaco, una suggestiva mulattiera che mostra ancora le edicole del periodo mercuriense.
Tra i prodotti tipici locali spiccano salumi (pancetta, guanciale, capocollo, salsiccia, soppressata), formaggi (ricotta fresca e affumicata, pecorino fresco e stagionato), legumi (come l’autoctono fagiolo Poverello Bianco), miele (di fichi e di Erica multiflora), i fichi di Cosenza DOP, noci, nocciole, castagne. Le creazioni in vimini e legno. Ricami e merletti artigianali. Mentre a tavola, fusilli al ragù calabrese, al sugo di caprettone, rascatelli con ricotta affumicata, ravioli alla ricotta, lagane (tagliatelle) e ceci o fagioli, zuppa di fagioli.